- La provenienza del Prosciutto San Daniele: regioni e zona di produzione
- Prosciutto San Daniele: la selezione dei maiali
- Prosciutto San Daniele: le fasi del processo produttivo
- La tracciabilità dei prosciutti
- Il marchio DOP del Prosciutto San Daniele
- Marchio DOP: come si ottiene
Il prosciutto, alimento tra i più diffusi e apprezzati sulle tavole italiane, affonda le sue radici nei secoli passati. Sono diverse le tipologie in commercio (intero con osso, disossato, in tranci o affettato), ognuna delle quali assimilabile ad un tipico processo produttivo e ad elementi territoriali che ne caratterizzano le specificità. Le prime testimonianze legate alla sua produzione e al suo consumo risalgono agli insediamenti di epoca preromana nell’area friulana compresa tra le Alpi Carniche e le Alpi Giulie, che include anche il paese di San Daniele.
San Daniele del Friuli è un comune della provincia di Udine, in Friuli-Venezia Giulia, conta circa 8.000 abitanti e si trova all’interno dell’area dell’Anfiteatro Morenico. La principale attività economica del territorio si basa sulla filiera produttiva del Prosciutto di San Daniele DOP. La posizione geografica e la composizione peculiare del suo microclima rendono San Daniele un luogo unico ed irripetibile per la stagionatura delle cosce di maiale, grazie alla concomitanza dei venti delle Alpi da nord e della brezza del Mar Adriatico che qui si incontrano.
A partire dagli anni ‘20 la produzione del prosciutto nel borgo friulano da artigianale diviene sempre più strutturata. Nascono i primi prosciuttifici che trasformano i vani di casa in veri e propri stabili industriali, fino a quando, l’intensificarsi della produzione porta alla determinazione di un Consorzio privato.
Fin da subito, questo gruppo eterogeneo, composto da produttori di prosciutto, cittadini della comunità di San Daniele e industriali di settori differenti, ha assunto il compito di preservare e diffondere il nome ed il marchio del prosciutto di San Daniele e di stabilirne le regole canoniche della lavorazione.
Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele costituito nel 1961 ai sensi dell’articolo 2602 e ss. del codice civile, oggi conta 31 soci produttori, i quali osservano regole stabilite e condivise dal testo del Disciplinare per la produzione di un prodotto riconoscibile e sempre uguale a se stesso.
Prosciutto San Daniele: regioni di provenienza e zona di produzione
La materia prima del Prosciutto San Daniele a marchio DOP è interamente prodotta e lavorata in un’area geografica delimitata del Paese. I maiali utilizzati ai fini della produzione provengono da allevamenti selezionati in dieci regioni, tra centro e nord Italia: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Marche, Umbria.
La filiera produttiva oggi conta 3.626 allevamenti, 45 macelli, 550 addetti e 31 stabilimenti produttivi: con circa 3 milioni di prosciutti prodotti l’anno, San Daniele rappresenta una consistente fetta delle esportazioni del made in Italy del settore agroalimentare.
Prosciutto San Daniele: la selezione dei maiali
Le tipologie dei suini
I maiali selezionati per la produzione del Prosciutto di San Daniele DOP sono tutti provenienti da razze italiane: ogni coscia è ottenuta da capi scelti di razza pesante Large White, Landrace e Duroc italiana, nati, allevati e macellati nell’area di produzione delimitata delle dieci regioni italiane del Centro-nord elencate in precedenza.
Nel Disciplinare sono esplicitate con chiarezza tutte le combinazioni dei possibili incroci riproduttivi, in conformità con i tipi genetici ammessi. Lo studio sui tipi genetici dei maiali ai fini produttivi della DOP del Prosciutto di San Daniele è in costante aggiornamento, in linea con gli sviluppi nel campo della ricerca genomica, come specificato nell’articolo 10 del capitolo III del Libro Genealogico Italiano.
Sono ammessi alla produzione gli animali, in purezza o derivati, delle razze tradizionali di base Large White e Landrace, così come migliorate dal Libro Genealogico Italiano. Sono altresì ammessi gli animali derivati dalla razza Duroc, così come migliorata dal Libro Genealogico Italiano. Sono inoltre ammessi gli animali di altre razze, meticci ed ibridi, purché provengano da schemi di selezione od incrocio con finalità compatibili con quelle del Libro Genealogico Italiano, per la produzione del suino pesante.
Nell’ottica di operare controlli qualitativi sempre più accurati circa l’intera catena produttiva, è chiaramente esplicitato nel Piano di controllo della DOP del Prosciutto di San Daniele il riferimento alla lista di tipi genetici non idonei, ovvero delle razze escluse, ed il divieto di utilizzo di suini appartenenti ad esse.
La creazione di una banca dati del DNA dei suini, garantisce un’ulteriore azione di controllo dei tipi genetici utilizzati, con finalità antifrode e anticontraffazione del tipo genetico che concorre al prodotto finale, e consente, attraverso un test del DNA sul prodotto finito, di certificare con la dovuta affidabilità, l’uso di razze conformi.
Il peso dei maiali
Il Consorzio del
Prosciutto di San Daniele, in conformità
alle procedure adottate dal Disciplinare della DOP Prosciutto di San Daniele,
seleziona attualmente i maiali destinati alla produzione di prosciutto. I
tipi genetici utilizzati devono assicurare il raggiungimento di pesi elevati e,
comunque, un peso medio per partita (peso vivo) di 160 chilogrammi (con
un range variabile del 10%). Le tecniche di allevamento sono finalizzate alla
crescita di un suino pesante per l’ottenimento di carcasse incluse nelle classi
centrali della classificazione europea.
Quando le cosce di maiale arrivano presso uno stabilimento sandanielese, hanno già subìto una scrematura iniziale relativa al peso presso il macello, prima di giungere nelle mani degli operatori competenti. Ogni pezzo deve rispettare uno standard di peso minimo di 12 kg, con un rapporto costante di massa magra e strato di grasso. Per ogni operazione che riguarda il Prosciutto di San Daniele DOP sono da osservare specifici parametri, come ad esempio quelli riguardanti lo spessore del grasso, riportati sul Disciplinare della DOP prosciutto di San Daniele.
Lo strato di grasso della parte esterna della coscia fresca rifilata, misurato verticalmente in corrispondenza del femore, non deve essere inferiore a 15 millimetri, cotenna compresa.
Prosciutto San Daniele: le fasi del processo produttivo
La fase della lavorazione del prosciutto, dalla rifilatura della coscia fresca al termine della stagionatura, avviene esclusivamente nei 31 prosciuttifici ubicati nel comune di San Daniele del Friuli.
Ogni coscia destinata alla produzione deve arrivare refrigerata sul piano di lavoro a San Daniele, entro al massimo 120 ore dall’avvenuta macellazione.
Da questo momento in poi, la strada verso la stagionatura ha inizio. Gli addetti alla catena produttiva selezionano le cosce con le caratteristiche riconoscibili, come il tipico zampino, che ne denota l’immediata riconoscibilità ed è necessario per il drenaggio dei liquidi dalle carni. Le cosce di maiale devono, inoltre, essere prive di qualunque difetto estetico e/o fisiologico (come piccole miopatie o occorrenze emorragiche), pena l’esclusione dalla lavorazione.
Dopo la fase di controllo iniziale, si imprime un timbro che identifica la data d’inizio della lavorazione e consente di calcolare con precisione la durata della stagionatura.
Questo timbro si aggiunge ai tatuaggi già presenti sulla cotenna: uno relativo all’allevamento, che riporta la sigla della provincia, il codice identificativo dell’allevamento e il mese di nascita del suino, ed uno riportante il codice identificativo del macello. Tali indicazioni costituiscono la carta d’identità di ogni prosciutto, attraverso le quali si può sempre risalire all’origine di ogni animale della filiera.
Gli step successivi prevedono un primo stazionamento presso le celle per adeguamento delle temperature: questo passaggio è necessario per permettere che, durante la prima salatura con sale marino che disidrata le carni, ogni coscia venga lavorata alla stessa temperatura.
La durata del processo è calcolata sulla base del peso medio della partita in lavorazione (definita in un giorno solare per ogni Kg di peso della relativa pezzatura). La coscia staziona nella cella di sale per i giorni necessari al compimento della durata del processo, ad una temperatura compresa tra gli 0°C e i +3°C, dove la carne inizia a rilasciare umidità.
La coscia viene poi ripulita, massaggiata e riposta in telai predisposti, per dare il via alla fase di disidratazione, che varia dai 60 ai 90 giorni. Con una temperatura compresa tra i +4°C e i +6°C ed un’umidità variabile, tra il 70% e 80%, la coscia è pronta al suo “riposo”, appesa in verticale. Durante questa sosta, si procede con la “toelettatura” per rifinire la coscia ed eliminare le parti di carne in eccesso, lasciando libera la testa del femore, per favorire ulteriore drenaggio di liquidi.
La stagionatura del prosciutto
Le fasi che seguono sono quelle che consentono al prodotto di raggiungere le stanze predisposte alla stagionatura vera e propria.
Ecco quali sono i passaggi che portano alla stagionatura completa delle cosce.
A compimento della fase di riposo, il cosiddetto “ciclo del freddo” è giunto al termine. Le cosce vengono lavate e, dopo una breve sosta destinata all’asciugatura a temperature comprese tra i +15°C e +24°C, vengono spostate nei saloni di stagionatura, dove, in condizioni naturali di umidità e temperatura, si attivano i processi enzimatici che danno odore e sapore alla carne.
Ogni prosciutto raggiunge queste stanze intorno al quarto mese dall’ingresso nel prosciuttificio e qui staziona fino al tredicesimo mese, sottoposto spesso a ventilazione naturale. Al settimo mese il prosciutto è pronto per la fase di “sugnatura”.
La sugnatura consiste nell’applicare alla parte di prodotto non ricoperta dalla cotenna uno strato di strutto misto a farina di riso, sale e pepe. Si sceglie il riso e non la farina di grano per rendere il prodotto fruibile anche in un’alimentazione priva di glutine. Tale pratica è indispensabile per una corretta lavorazione del prosciutto.
L’intero periodo di stagionatura prevede diversi controlli prima che il prosciutto esca dal ciclo produttivo. Uno dei test principali, effettuato prima di apporre il marchio a fuoco del Consorzio di San Daniele, è chiamato “puntatura”. Con un ago ricavato dal femore di cavallo, scelto per la sua porosità, si valutano le condizioni di equilibrio e stagionatura del prodotto. Se il prosciutto risulta conforme ai parametri indicati dal Disciplinare della DOP Prosciutto di San Daniele, si procede verso la marchiatura a fuoco, non prima del 13esimo mese dall’ingresso nello stabilimento.
In base ai gusti e alla richiesta di stagionatura, il Prosciutto di San Daniele DOP è pronto all’ingresso sul mercato, dove è possibile acquistare il prodotto al banco salumi, in vaschette di preaffettato secondo le tecniche tradizionali oppure in tranci. La durata ideale della stagionatura varia dai 14 ai 22 mesi, il momento in cui il prosciutto consumato offre le qualità organolettiche migliori.
La sostenibilità negli allevamenti
È negli allevamenti italiani che si determinano all’origine, le qualità che ogni Prosciutto di San Daniele deve acquisire durante tutte le fasi del processo lavorativo, a partire da un corretto e rispettoso trattamento dei maiali. A favorire i comportamenti leciti e condannare eventuali pratiche deplorevoli degli allevatori in tutta Italia, non solo nei circuiti delle DOP e delle IGP, interviene anche la legislatura. Le disposizioni in materia di allevamenti suinicoli approvate dal Ministero della Salute determinano che, allevatori e allevamenti siano sempre conformi ai requisiti del benessere animale. Sulla base di questo orientamento, sempre maggiore attenzione è stata riservata alla permanenza degli animali negli allevamenti, determinando in maniera stringente ogni dettaglio, come l’alimentazione dei suini.
Il Disciplinare del Consorzio di San Daniele è il primo esempio italiano in cui si evidenzia come ogni aspetto legato al benessere animale sia una componente non trascurabile: in esso, infatti, sono riportati i dati relativi alla lista degli alimenti consentiti in base al peso e all’età di ogni suino, dato che non compare esplicito in altri disciplinari.
Una dieta ricca di cereali nobili è quanto indicato per favorire la crescita naturale dell’animale e per una migliore resa in termini di materia prima. Il risultato di questa condotta negli allevamenti ha fatto sì che rispetto al passato, i numeri in termini di peso vivo dei maiali della DOP, siano sensibilmente aumentati. La popolazione dei suini allevati in Italia ha subìto infatti, un naturale accrescimento della propria massa corporea, dovuto proprio al miglioramento delle condizioni di allevamento.
La tracciabilità dei prosciutti
Dalla nascita del maiale presso l’allevamento, fino all’immissione del prodotto finito sul mercato, la materia prima destinata alla produzione del Prosciutto di San Daniele DOP, è sottoposta a rigidi controlli da parte di organi terzi. Il Consorzio del Prosciutto di San Daniele si occupa di tutelare il marchio da contraffazioni e diffondere la conoscenza di prodotto. A vigilare invece sui processi dell’intera filiera produttiva DOP e garantire che le norme del disciplinare vengano rispettate, intervengono società autonome e super partes, come l’istituto di controllo IFCQ Certificazioni Srl, autorizzato direttamente dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo e l’ICQRF (Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari).
Nell’ottica di un rapporto di trasparenza, per rendere accessibile al consumatore un controllo a posteriori, il Consorzio del Prosciutto di San Daniele ha messo a punto un sistema di tracciamento digitalizzato. Tale iniziativa riguarda una tra le attuali referenze di prodotto più vendute: le confezioni di preaffettato.
Con l’ausilio di uno smartphone, è adesso possibile inquadrare il QR Code presente sulla vaschetta: dopo lo scan del codice, il consumatore viene indirizzato su un apposito portale web, dove sono presenti informazioni relative alla provenienza dei maiali, agli allevamenti e agli stabilimenti di produzione. Oltre ad una diversa modalità di comunicazione tra azienda e consumatore, il sistema agevola la creazione di una banca dati digitale dove archiviare la documentazione cartacea in materia di tracciabilità e verificare, in ogni momento, l’autenticità delle materie prime che accedono agli stabilimenti di produzione.
Il marchio DOP del Prosciutto San Daniele
Per determinare le regole produttive e tutelare il marchio Prosciutto di San Daniele, i Governi hanno emanato dapprima la Legge n. 507/1970 del 1970, poi sostituita ed abrogata dalla Legge n. 30 del 14 febbraio 1990. Entrambe sottolineavano come obbligatori gli usi leali e costanti della produzione tradizionale, sanzionando i produttori non rispettosi delle procedure stabilite e condivise ai fini della creazione di un prodotto che si presenti con le stesse caratteristiche finali.
Conseguenza naturale di questo iter di riconoscimento qualitativo è stato il conferimento del marchio DOP, la Denominazione d’Origine Protetta, arrivato il 12 giugno 1996 da parte dell’Unione Europea, che sancisce il forte legame causale tra la zona geografica di San Daniele, con i suoi tratti ambientali ben distinti, e le caratteristiche che il Prosciutto assume in questo luogo, non replicabili altrove.
La limitazione geografica che riguarda le aree di produzione, è un parametro stabilito dalle norme del Disciplinare ed è osservato per garantire la replicabilità delle qualità organolettiche del prodotto. Tutta la fase relativa alla lavorazione delle cosce fresche di maiale è condotta a tale scopo, esclusivamente nei soli prosciuttifici aderenti al Consorzio di San Daniele, nell’omonima località geografica friulana. Il prodotto macellato arriva in Friuli e viene processato in tutte le sue fasi nell’area dei 31 stabilimenti del territorio.
In materia di DOP, San Daniele costituisce uno degli esempi più calzanti: in questo caso la denominazione di origine protetta è assegnata al territorio di un solo comune e non di un’area territoriale più estesa.
Marchio DOP: come si ottiene
Per ottenere il riconoscimento del marchio DOP è obbligatorio seguire un iter procedurale e inoltrare richiesta al Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo (MIPAAFT). Tale richiesta deve contenere, tra le altre, le caratteristiche identificative del prodotto, le informazioni circa la sua origine storica all’interno del territorio citato nella denominazione, il disciplinare di produzione ed il dettaglio sull’organo terzo di vigilanza, riconosciuto dal Ministero, che si occupa della conformità dell’intera filiera produttiva alle norme del disciplinare stesso.
Seguono alla prima richiesta tre fasi di esame a diversi livelli: una valutazione della proposta ad opera della regione, che si conclude con l’espressione di un parere. Se tale parere è positivo, si procede con l’inoltro della richiesta presso il MIPAAF che verifica una serie di parametri, dall’affidabilità del soggetto richiedente, alla completezza della documentazione, fino anche alla determinazione della conformità del logo scelto.
Da qui, con esito positivo del Ministero, il percorso assume respiro comunitario: la Commissione Europea controlla la documentazione ricevuta, sulla base della quale procede alla pubblicazione del documento unico sulla Gazzetta Ufficiale Europea per tre mesi. Se gli Stati Membri non mostrano alcuna obiezione, la Commissione Europea emana il regolamento di registrazione della denominazione.
Nonostante il percorso risulti articolato, questo si rende necessario a garanzia dell’identità del prodotto, delle sue caratteristiche non ripetibili nella stessa categoria merceologica e della fiducia che i consumatori accordano al marchio acquistato.